L’opposizione ci accusa di non voler revocare l’intestazione di una strada a Tito.
La solita demagogia. Una cosa è la Storia, un’altra la toponomastica e più precisamente la storia della toponomastica cittadina. A nessuno di noi sfugge il dramma della vicenda delle foibe, ivi comprese le responsabilità che furono di Tito. Ma non ci sfuggono nemmeno la complessità e le contraddizioni del ruolo giocato dal maresciallo Tito sulla scena politica europea del Novecento.
La Storia non è un serbatoio di slogan per tifoserie di parte, ma un complesso intreccio che va considerato in tutta la sua complessità. Tito è stato dittatore e uomo di Stato che ha attraversato oltre 30 anni di Storia del nostro Continente. È indubbio che gli amministratori dell’inizio anni Ottanta che decisero l’intestazione fossero certamente calati nel sentire comune del proprio tempo. Oggi a nessuno verrebbe in mente di dedicare una via a Tito. Ma il pregio della toponomastica è proprio questo: documentare i cambiamenti intervenuti nell’immaginario collettivo di ogni epoca, di una città, di un Paese, di un continente.
Seguendo il criterio proposto dal Carroccio, allora dovremmo abolire anche le intitolazioni a Umberto primo, a Crispi e al generale Cialdini, massacratore di italiani durante la guerra del brigantaggio, per non citare magari anche via Adua o via Makallè.
Soprattutto, al centro del nostro agire devono esserci i cittadini e le loro esigenze. Cambiare nome alla strada sarebbe anche un problema burocratico enorme: basti pensare a tutte le attività e i privati che in via Tito sono residenti. Nel 2013 i tecnici del Comune di Parma hanno valutato che il cambio di nome a largo e via Tito avrebbe avuto una pesante ricaduta sulle famiglie che vi risiedono: le modifiche sui documenti – dalle patenti alle intestazioni sui vari contratti – avrebbero avuto un costo di circa 400 euro a famiglia, nonostante le agevolazioni che il Comune avrebbe potuto dare per le certificazioni di propria competenza.
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